Tanti anni fa, in un mattino di luglio.
In un’aula all’ultimo piano di un Liceo di Torino, un ragazzo inizia l’orale dell’esame di Maturità.
Gli viene chiesto di leggere e commentare “Marzo 1821” di Manzoni. Il ragazzo sceglie di non aprire il libro e parte spavaldo citando la poesia a memoria, pensando così di fare bella figura:
“Soffèrmati sull’arida sponda
Volti i guardi al varcato Ticino…”
Il professore, quasi ruggendo, lo blocca: “Se lei non sa dove mettere l’accento, come fa ad aver capito il resto”?
Sono passati tanti anni, ma ogni tanto mi torna alla memoria quel mattino. Un accento, che trasformava “soffermàti” in “soffèrmati”, ha cambiato totalmente il corso di un esame. Forse di un’intera carriera di studente (che poi ho perso di vista).
Dove mettere l’accento non è questione che riguarda solo le parole omografe. A ben vedere riguarda un po’ tutte le nostre attività.
Le routine, lo studio, il lavoro, la famiglia, le abitudini, le regole… Talvolta ci si sente davvero assediati, circondàti.
Quasi con un atteggiamento passivo rispetto agli eventi. Una costante spersonalizzazione.
La pratica costante di una disciplina, al pari delle attività di coltivazione della propria persona, può aiutare a cambiare accento e semantica.
Cambiare accento significa accettare di camminare su un percorso di confronto con la propria e altrui realtà. Così facendo dalla passività, si passa gradualmente a ricercare attivamente ciò che può giovare davvero.
Circòndati. Un invito a definirsi, a conoscersi perché si delineano i propri limiti. A mettere intorno a se qualcosa che non sommerga né soffochi la nostra parte migliore ma la aiuti a crescere e manifestarsi.
Circondarsi, ma di cosa? O di chi?
La pratica di una disciplina mette la persona di fronte ad una serie di principi.
E’ un terreno sdrucciolevole, come lo è la parola.
Se i princìpi non trasformano gradualmente in prìncipi chi li impara a conoscere, allora bisogna farsi qualche domanda.
Non si sta parlando qui dell’esistenza di discipline che siano, per qualche ragione strana, moralmente ed eticamente superiori ad altre.
Piuttosto, è sotto gli occhi della comune esperienza che esistono tanti tecnici che rasentano una perfezione formale splendida ma che umanamente, socialmente e relazionalmente non sembrano altrettanto progrediti.
Ogni gruppo umano, dai collezionisti di francobolli alle pie donne di una parrocchia; dai veterani della Legione Straniera al più remoto gruppo di marzialisti ha al suo interno chi grazie ai princìpi che intravede progredisce e chi avvizzisce.
Così come, cambiando accento, esiste in qualsiasi dimensione umana quell’ambizione un po’ ciceroniana degli “ottimati”, di costruire il gruppo di perfettini… Che inevitabilmente circonda una persona serenamente normale e spesso non le lascia spazio per crescere. Un vero principe sa che la sua regalità è il servizio e non fa della sua eventuale perizia un piedistallo inarrivabile.
Insomma, bisogna fare attenzione a dove poniamo l’accento. A che cosa dà importanza il gruppo che frequentiamo e le persone che ne sono il riferimento.
Spesso abbiamo il potere, se non il dovere, di proporre a noi stessi un cambiamento dell’accento e del tono della nostra direzione.
Con la consapevolezza che la vita, come la lingua, ha la sua grammatica e che se pretendiamo di mettere accenti a caso, diventa complesso comunicare, difficile capire, impossibile crescere.
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